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L’arte della seta e Jean le Calabrais

 

 

 

 

 





In Calabria l’arte della seta conobbe periodi di grande splendore, quando in molti territori erano diffusi la coltivazione dei gelsi e l’allevamento del baco da seta, dal carattere femminile e familiare, e quindi la tessitura dei preziosi filati.

Tutto ebbe inizio nel VI secolo circa, quando i bizantini introdussero in Calabria la lavorazione della seta. Ben presto tale attività si sviluppò a tal punto da far concorrenza alla Siria e poi alla capitale dell’impero, Costantinopoli.

Fu Catanzaro a distinguersi come centro manifatturiero d’eccellenza in Calabria e primo centro importante in Italia (nei secoli successivi la produzione si consolidò anche a Venezia, Firenze, Genova, Bologna e in particolare a Lucca). Nel capoluogo calabro, la nobile arte della seta raggiunse un tale livello d’eccellenza che i tessuti serici venivano nominati negli atti notarili e testamentari subito dopo i gioielli e i sovrani favorivano quest’attività con privilegi e pergamene. Secondo un’affascinante ipotesi il nome attuale della città proviene addirittura dal termine greco Katartarioi, ovvero filatori di seta. Il primo documento certo sull’arte della seta in Calabria data 1050: è un rogito notarile citato dallo storico francese Andrè Guillou in cui si legge che fra i beni della Curia reggina figura un campo di migliaia di gelsi. È facile credere, dunque, che quando Luigi XI, nel 1470 emanò il primo provvedimento ufficiale finalizzato ad impiantare in Francia un’industria per la fabbricazione di tessuti serici, chiamò dall’Italia un gruppo di tessitori tra i quali non potevano mancare i maestri catanzaresi. Fu proprio un catanzarese di nome Giovanni a guidare l’avvio della prima manifattura della seta nella città di Tours, mediante l’utilizzo del suo telaio, che sarebbe passato alla storia come le métier de Jean le Calabrais. Derivato dai modelli orientali, questo telaio può essere considerato il capostipite dei telai meccanizzati; le successive invenzioni dei setaioli francesi si basarono sul prototipo ideato dal tessitore catanzarese Jean.. Una delle sue caratteristiche è il fatto che permetteva al tessitore di lavorare da solo, in quanto il suo funzionamento non richiedeva la presenza di un tira licci. Esso consentì di confezionare stupendi tessuti di seta impreziositi con fili d’oro e d’argento, delle stoffe in tinta unita dette “gros de Tours” , dei tessuti lavorati e infine articoli d’arredo e damaschi. Da quel momento in poi l’industria della seta prese piede in Francia e oltre a Tours, si sviluppò anche in altre città. Per di più, nel 1519 Carlo V concesse alla sola Catanzaro, dopo Napoli,  il consolato dell’arte della seta, che implicava anche numerosi privilegi fiscali. L’industria della seta procurava benessere ai cittadini e fama alla città: le manifatture contrassegnate dal simbolo delle tre “V” (Venti, Velluti, Vitaliano) erano conosciute ed apprezzate in tutta Europa. Nel Settecento, periodo del suo massimo sviluppo, a Catanzaro si contavano ben settemila setaioli e mille telai e si produceva grande quantità di tessuto damascato, così chiamato perché diffuso da Damasco in Siria e lo stesso baco in dialetto catanzarese veniva e viene chiamato sirico, ad indicare la provenienza dalla Siria. Grazie a questi intensi scambi commerciali, i tessuti in seta calabresi dai motivi orientali si arricchirono di altri disegni ispirati all’arte rinascimentale fiorentina e veneziana e così i velluti e le organze, i broccati e i damaschi catanzaresi invasero le corti e i luoghi più importanti di ogni paese. Nell’Ottocento l’arte della seta in Calabria, sia per i balzelli imposti sulla produzione sia per la concorrenza di altre produzioni, iniziò la sua lunga e inesorabile decadenza

 

 

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